A Paspardo si trova una tipologia particolare di raffigurazione di guerrieri che, allo stato attuale della ricerca, non trova riscontri negli altri siti rupestri della Valcamonica: si tratta di grandi personaggi armati già visti e pubblicati da Giovanni Marro negli anni ‘30 del secolo scorso.
Tali figure, alte tra i 90 ed i 140 centimetri, sono realizzati a sola linea di contorno e caratterizzate da uno stilema del tutto particolare. Il Marro aveva già descritto in uno dei suoi lavori quelli della roccia 4 di In Valle, poi riscoperta e interamente studiata tra il 1984 ed il 1988. Per ora, nel territorio di Paspardo sono note sei figurazioni riferibili a questa tipologia: una sulla roccia 5 di Dos Sottolaiolo, due sulla roccia 54 di Vite e tre sulla roccia 4 di In Valle. Un’analoga figura, lasciata però incompleta, compare inoltre sulla roccia 50 di Naquane.
Sempre a Naquane sono presenti figure umane di grandi dimensioni: i cosiddetti guerrieri “etruschi” stilisticamente e cronologicamente avvicinabili ai nostri ma con il corpo interamente campito presenti sulla roccia 50 e la grande figura del dio-cervo Cernunnos della roccia 70. In località Carpene di Sellero, caratterizzata dal gigantismo di molte raffigurazioni, incontriamo un’altra figura mitica avvicinabile al dio Esus.
I guerrieri di Paspardo si presentano, come si è detto, con busto e gambe delineate a sola linea di contorno, volto di profilo e sesso evidenziato. L’armamento è rappresentato da lancia, impugnata nella mano destra, scudo “a pelle di bue” visto frontalmente o di profilo, spada o coltello appesi alla cintura. Lo stile “gigante” di queste figure e la presenza di un coltello di tipo Benvenuti (cultura paleoveneta) riporta la cronologia dei grandi guerrieri alla fine del sesto secolo avanti Cristo.
La presenza degli scudi detti “a pelle di bue” è particolarmente interessante, per quanto essi non costituiscano un elemento datante a causa della frequenza con cui compaiono in tutte le fasi dell’arte rupestre dal Bronzo Finale (dal dodicesimo al decimo secolo avanti Cristo) fino a alle soglie della romanità nel primo secolo avanti Cristo). Lo studioso Ludwig Pauli ha messo in evidenza che si tratta di un’arma tradizionale delle genti alpine dell’area retica e ciò è ben testimoniato dai ritrovamenti archeologici, ma anche dalle incisioni rupestri della Valcamonica. Nell’arte rupestre questo scudo veniva rappresentato secondo una visione frontale (la denominazione “a pelle di bue” deriva infatti dalla somiglianza con una pelle di bue distesa e tirata ad essiccare) oppure secondo una visione laterale, assumendo in questo caso una forma marcatamente concava verso l’esterno. Tale concavità doveva essere una conseguenza del modo in cui la pelle veniva tesa sul supporto di legno, come si evince dal confronto di tipo etnografico instaurabile, per esempio, con gli scudi di pelle utilizzati da alcune popolazioni africane o dai nativi americani. La medesima concavità si legge comunque bene anche negli scudi raffigurati sul cosiddetto “Rilievo di Bormio” in Valtellina. Lo scudo di Hallein in lamina di ferro, con umbone fusiforme e margini rialzati, rinvenuto in una necropoli celtica datata al quinto secolo avanti Cristo, presenta quattro placchette circolari che si trovano anche nello scudo di Bormio: si tratta di borchie che, negli esemplari reali, dovevano servire a tendere la pelle e che, purtroppo, non si leggono nelle raffigurazioni rupestri, a causa dello schematismo della tecnica incisoria. Negli esemplari rupestri del settimo sesto secolo avanti Cristo, l’umbone è di tipo rotondo ma abbiamo casi di figure poco più tarde rispetto ai nostri grandi guerrieri che sono anch’esse armate di scudi “a pelle di bue” con umbone fusiforme, come, per esempio, nel caso dei piccoli guerrieri del Dos Cuì.
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