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Un’idea semplice: far parlare le immagini, visto che, caso più unico che raro, ne abbiamo in abbondanza. Da subito si pone una serie di problemi: le immagini parlano? E se parlano, che cosa sono in grado di dirci? Spesso un’interpretazione affrettata può far cadere in errore poiché le incisioni rupestri, come tutti i linguaggi artistici, hanno una grande carica di ambiguità.
Gli antichi abitanti della Valcamonica hanno inciso sulle rocce i temi e i simboli della loro cultura, selezionando i soggetti con criteri che a noi oggi sfuggono e che sono quasi impossibili da ricostruire, per cui è bene essere prudenti ed essere subito avvertiti che ricostruzioni troppo ingenue lasciano spazio ad enormi dubbi.
Per far parlare le immagini (ciò vale per ogni popolo e per ogni civiltà) dobbiamo ricostruire quali funzioni vengono loro attribuite, quali orizzonti culturali le hanno generate e quale spinta ha sostenuto un lavorio continuato per alcuni millenni che ha prodotto il grande patrimonio della preistoria (e non solo) in Valle Camonica.
Antropomorfi schematici con gambe divaricate e braccia alzate generalmente attribuite al periodo neolitico ma destinati ad avere fortuna anche in epoche successive e raffigurati fino all’età dei metalli, con progressive modificazioni stilistiche e in diversi contesti.
Antropomorfi schematici con gambe divaricate e braccia alzate generalmente attribuite al periodo neolitico ma destinati ad avere fortuna anche in epoche successive e raffigurati fino all’età dei metalli, con progressive modificazioni stilistiche e in diversi contesti.
Alcuni oranti hanno elementi di differenziazione, come mani o piedi di dimensioni eccezionali, sesso pronunciato (sia maschile che femminile) e proporzioni maggiori rispetto alle altre figure umane. In questi casi potrebbero rappresentare individui di particolare rilievo all’interno del gruppo sociale, se non addirittura spiriti dotati di poteri o attributi eccezionali. La discussione per l’esatta attribuzione cronologica di queste figure è vivace e accesa fra gli esperti. È possibile ammirare gli oranti a Foppe di Nadro (gli esempi più classici sulle rocce 1 e 21 di Foppe di Nadro), a Campanine di Cimbergo (roccia 7 di Campanine) e in quasi tutti gli altri siti della Riserva.
Alcuni autori interpretano queste composizioni come raffigurazioni del territorio agricolo reale (campi coltivati? Insediamenti? Recinti per il bestiame?), altri, più prudenti, come astrazione del concetto di “territorio”.
Alcuni autori interpretano queste composizioni come raffigurazioni del territorio agricolo reale (campi coltivati? Insediamenti? Recinti per il bestiame?), altri, più prudenti, come astrazione del concetto di “territorio”.
La tipologia più antica è detta “macula”, aree più o meno regolari interamente martellinate, sostituite più tardi da figure a doppio rettangolo fino a complesse composizioni geometriche con coppelle e canaletti. Anche in questo caso l’attribuzione cronologica è incerta: dalla fase finale del Neolitico all’età del Bronzo. Possiamo vedere queste incisioni su moltissime rocce in riserva: ne troviamo alcuni esempi a Foppe di Nadro ma la concentrazione maggiore è a Paspardo (area di Vite-Deria ‘Al de Plaha)
In riserva la roccia 8 di Campanine potrebbero raffigurare la più antica scena d’aratura d’Europa: due coppie di “bucrani” aggiogati riferibili alla metà del IV mill. a.C. Altri esempi, più recenti, sono presenti sulle rocce di Foppe di Nadro e Campanine.
In riserva la roccia 8 di Campanine potrebbero raffigurare la più antica scena d’aratura d’Europa: due coppie di “bucrani” aggiogati riferibili alla metà del IV mill. a.C. Altri esempi, più recenti, sono presenti sulle rocce di Foppe di Nadro e Campanine.
Scene di aratura: L’aratura rituale è un tema che compare nella fase finale del Neolitico e prosegue fin nell’età del Ferro, ove entra in gioco nell’atto fondante dei confini cittadini (tutti conosciamo la leggenda della nascita di Roma) o nel risvegliare il potere fecondo ed insieme sapienziale della terra (gli Etruschi attribuivano ad un essere emerso dal solco appena arato chiamato Tagete la rivelazione di tutte le conoscenze sull’universo).
Sono un soggetto tipico dell’età dei metalli, a partire dall’età del Rame (quando l’uomo imparò i primi rudimenti della metallurgia) le armi divennero strumenti e simboli di potenza militare ma anche fonte importantissima di commercio e accumulazione di beni.
Sono un soggetto tipico dell’età dei metalli, a partire dall’età del Rame (quando l’uomo imparò i primi rudimenti della metallurgia) le armi divennero strumenti e simboli di potenza militare ma anche fonte importantissima di commercio e accumulazione di beni.
È infatti con l’arrivo del metallo che cresce l’importanza simbolica, economica e sociale, dell’oggetto “arma”, raffigurata prima sulle statue stele poi su superficie rocciosa ed infine impugnata dagli innumerevoli guerrieri dell’età del Ferro (I millennio a.C.). Per tutto il lungo periodo artistico camuno prima asce, pugnali, alabarde e poi lance, spade, elmi e scudi descrivono un universo guerriero e maschile. Le armi sono un importante termine datante, esaminandone la foggia e confrontandola con oggetti di scavo gli archeologi hanno potuto stabilire la sequenza cronologica delle incisioni rupestri. È possibile ammirare pregevoli composizioni di armi a Foppe di Nadro (per brevità citiamo solo la roccia 4 di Foppe di Nadro), a Campanine di Cimbergo, a Paspardo e in quasi tutti gli ambiti di visita della Riserva.
Il tema dominante nelle incisioni della fine dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro è senza dubbio il guerriero, isolato, in duello oppure raggruppato in schiere con le armi ben in vista (elmo, scudo, lancia o spada o ascia).
Il tema dominante nelle incisioni della fine dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro è senza dubbio il guerriero, isolato, in duello oppure raggruppato in schiere con le armi ben in vista (elmo, scudo, lancia o spada o ascia).
I guerrieri si trovano spesso raffigurati in scontri ravvicinati con armi di tipo assai diverso (spade, lance, asce, scudi, elmi). Si tratta probabilmente di duelli a carattere rituale, particolarmente evidenti nella coppia di Zurla (sito della Riserva Naturale di Ceto Cimbergo Paspardo, non aperto al pubblico) che mostrano panoplie “speciali” e sembrano mimare una danza o sulla roccia 6 di Foppe di Nadro che presenta una doppia coppia di duellanti: la prima all’arma bianca, la seconda impegnata in uno scontro di pugilato.
Il duello nell’antichità italica si caricava spesso di significati socio-religiosi come nel caso del duello giudiziale (lo scontro fra due campioni evitava lo scontro fra due schieramenti) e di gare o giochi organizzati nei cerimoniali funerari per onorare il defunto. Non è escluso che in Valcamonica si tratti di una raffigurazione mitologica o leggendaria di un epico duello fra due antenati, eroi, divinità.
Da segnalare i grandi guerrieri di Paspardo, alti dai 90 ai 140 cm, delineati a linea di contorno, volto di profilo, sesso e armi ben in vista (roccia 4 di In Vall e roccia 5 di Dos Sottolajolo).
Nel repertorio iconografico delle incisioni rupestri il cavallo cavalcato fa la sua comparsa solo nell’età del Ferro.
Nel repertorio iconografico delle incisioni rupestri il cavallo cavalcato fa la sua comparsa solo nell’età del Ferro.
Nell’antichità il cavallo possedeva non solo un forte valore economico ma anche e soprattutto una valenza ideologica e simbolica, un ruolo che anche in Valcamonica deve avere caratterizzato ranghi differenti all’interno della gerarchia sociale. Sulla roccia 27 di Foppe di Nadro spicca la figura di un grande cavallo con cavaliere e scudiero, che testimonia la straordinaria importanza attribuita alla cavalcatura durante l’età del Ferro e sembra evidenziare anche una differenziazione precisa dei ruoli nella distinzione fra cavaliere, armato di scudo e lancia (un princeps camuno?), e “scudiero” portatore della lancia del cavaliere e conducente appiedato del destriero.
Simbolo diffuso in tutte le principali aree di visita della Riserva, ricordiamo qui l’eccezionale concentrazione di impronte di piede della roccia 6 di Foppe di Nadro.
Simbolo diffuso in tutte le principali aree di visita della Riserva, ricordiamo qui l’eccezionale concentrazione di impronte di piede della roccia 6 di Foppe di Nadro.
generalmente raffigurate con la sola linea di contorno (ma ne esistono esempi interamente campiti, decorati, con una o due linee orizzontali al centro, graffite, con l’indicazione delle dita) le impronte di piede sono particolarmente presenti su alcune superfici e talvolta mostrano “stili” locali, come accade per esempio nell’area di Zurla. Frequenti sono le coppie di impronte “irregolari”, cioè con il piede destro nella posizione del sinistro e viceversa. Fra le interpretazioni si segnala il possibile valore votivo legato all’iniziazione dei giovani alla classe guerriera o un generico marchio di presenza o di passaggio, forse connesso al manifestarsi della divinità o più genericamente all’ambito funerario.
Sono immagini con una forte valenza simbolica, presso molte culture antiche erano considerati l’accompagnatore dell’anima nell’aldilà.
Sono immagini con una forte valenza simbolica, presso molte culture antiche erano considerati l’accompagnatore dell’anima nell’aldilà.
In alcuni casi emblematici gli uccelli acquatici diventano cavalcature di figure armate oppure, trasformati in uno schema a barchetta ornitomorfa “trasportano” brevi iscrizioni in alfabeto locale. Ricordiamo qui l’eccezionale concentrazione di uccelli acquatici della roccia 7 di Foppe di Nadro e il bellissimo trampoliere gigante della roccia 49 di Campanine di Cimbergo.
Le raffigurazioni di capanna o costruzione sono uno dei temi più cari agli artisti camuni già nell’antica età del Ferro (X-VII sec. a.C) e si distinguono per l’estrema varietà tipologica: non esistono due “capanne” uguali.
Le raffigurazioni di capanna o costruzione sono uno dei temi più cari agli artisti camuni già nell’antica età del Ferro (X-VII sec. a.C) e si distinguono per l’estrema varietà tipologica: non esistono due “capanne” uguali.
I ricercatori propongono due principali filoni interpretativi: da un lato le “capanne” camune sono viste come riproduzioni di costruzioni reali (palafitte o granai sollevati dal suolo con delle palificazioni); dall’altro le molte raffigurazioni “impossibili” sono avvicinate alle urne cinerarie tosco-laziali e, più in generale, alla metafora della casa come dimora eterna del defunto. Questo tipo di raffigurazione è molto diffuso sulle rocce della riserva in particolare a Foppe di Nadro e Campanine.
Forse il simbolo più famoso della Valcamonica, la rosa camuna costituisce ancora oggi un grande enigma. Dal 1977 la rosa camuna è il simbolo della regione Lombardia
Forse il simbolo più famoso della Valcamonica, la rosa camuna costituisce ancora oggi un grande enigma. Dal 1977 la rosa camuna è il simbolo della regione Lombardia
La rosa camuna è uno dei simboli più famosi dell’arte rupestre di Valcamonica. Ha affascinato gli studiosi fin dai primi anni della ricerca, scatenando fin da subito un ampio dibattito sulla sua possibile interpretazione.
Oggi, la rosa camuna è il simbolo della regione Lombardia, grazie all’iniziativa dell’allora Assessore alla Cultura Sandro Fontana, futuro ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica nei primi anni ’90. Un team guidato da Bruno Munari attinse il simbolo dagli archivi scientifici del Centro Camuno di Studi Preistorici, studiato e rielaborato in forma grafica venne definitivamente adottato come logo della regione nel 1977.
Il motivo della rosa camuna è composto da nove coppelle disposte secondo un ordine ben determinato e da un contorno quadrilobato che le avvolge. Ne sono stati individuate finora due principali tipologie: un primo tipo cosiddetto a svastica (con le braccia piegate di 90°) e un tipo quadrilobato (con le braccia diritte e simmetriche). La maggior parte delle rose camune (se ne conoscono un centinaio circa) si trova concentrata nel Comune di Paspardo e nel parco di Luine a Darfo Boario Terme, la più grande è a Carpene di Sellero (dove troneggia una rosa camuna a svastica di 50 cm di diametro), mentre la più iconica e famosa è raffigurata sulla roccia 24 di Foppe di Nadro.
La tipologia a svastica sembra essere la più antica, nasce in Mesopotamia nel VI millennio a.C. per diffondersi sia in Europa che in Asia. In Italia ne abbiamo i primi esempi in area etrusca e veneta durante il Bronzo finale, mentre in Valcamonica fa la sua prima apparizione nel VII secolo a.C. A partire dal V secolo a.C. la tipologia a svastica viene sostituita da quella quadrilobata.
Le interpretazioni sono numerose: alcuni hanno parlato di girandola o di sistro (uno strumento musicale) legando l’immagine al mondo celtico, altri autori è più probabile un’assimilazione attraverso contatti culturali e commerciali col mondo etrusco e italico durante la prima metà dell’età del Ferro.
In Valcamonica, la rosa camuna è spesso associata agli armati, in questa chiave sembra essere un segno protettivo e di buona fortuna, associato a un universo maschile mentre nei manufatti provenienti dalla cultura di Hallstatt compare su oggetti femminili come gioielli e cinture. Questa apparente incongruenza può essere superata accettando il fatto che l’arte camuna di età del Ferro era virile e guerriera e che la presenza femminile dovesse essere circoscritta a pochi e selezionati simboli.
Paspardo vanta la più alta concentrazione di rose camune dell’intera Valcamonica (solo sui sentieri aperti al pubblico ricordiamo le rose camune di ‘Al de Plaha e Dos Sottolajolo), ricordiamo inoltre la roccia 24 di Foppe di Nadro.
La paletta è una figura quadrangolare, o più raramente ovale, resa a figura piena o al sola linea di contorno fornita di impugnatura o manico solitamente con il pomo evidenziato e decorato.
La paletta è una figura quadrangolare, o più raramente ovale, resa a figura piena o al sola linea di contorno fornita di impugnatura o manico solitamente con il pomo evidenziato e decorato.
I contesti iconografici mostrano che le figure di paletta sono spesso associate tra loro, a coppie o a gruppi di 5-6. Lo studio delle associazioni e delle sovrapposizioni svolto nel corso delle ultime ricerche ha dimostrato che le figure di paletta compaiono nell’arte rupestre della Valcamonica durante il Bronzo Medio-Recente (XVI XII sec. a.C.) e continuano ad essere raffigurate sino alla media età del Ferro (inizio V sec. a.C.), con una significativa interruzione durante il VIII-VII sec. a.C. Non si conoscono ad oggi figure di paletta nella tarda età del Ferro.
Sui possibili significati legati a questo simbolo, si sono sprecate le più svariate teorie: negli anni ’30, Giovanni Marro, sosteneva che le palette fossero semplicemente le “pagaie” dei palafitticoli camuni, mentre negli anni ’70 era in voga la teoria che si trattasse di uno specchio. Difficile oggi sostenere l’ipotesi di Marro visto che non sono ancora stati ritrovati resti palafitticoli in Valcamonica né tantomeno sono riscontrabili associazioni ricorrenti fra le palette e categorie di figure collegate all’acqua, come barche o gli uccelli acquatici. Altrettanto improbabile la seconda eventualità, poiché specchi di forma rettangolare sono attestati solo nel mondo romano.
Alcuni oggetti identici alle nostre figure sono stati in effetti rinvenuti in tombe femminili dell’area paleoveneta e golasecchiana (cultura celtica dell’area padana diffusa tra Novara, Como e Bergamo), mentre in Valcamonica esistono per ora solo come raffigurazioni rupestri. Purtroppo la Valcamonica, così ricca di patrimonio iconografico legato alle incisioni rupestri, è molto avare di ritrovamenti archeologici di cultura materiale (tombe, abitati o altro), i siti archeologici studiati e documentati sono pochissimi quindi spesso i confronti devono essere fatti con ritrovamenti presso coeve culture vicine.
Il ritrovamento di una paletta nella cosiddetta “tomba di Nerca”, una donna aristocratica della Este paleoveneta, ha comunque gettato un po’ più di luce sulla sua funzione: l’oggetto è stato infatti rinvenuto insieme agli elementi del corredo funebre che si riferivano alla cura del fuoco (alari, spiedi, molle, ecc.). Ne consegue che forse si trattava di uno strumento utilizzato per rimuovere la cenere dal fuoco o per infornare focacce o quant’altro. Alcuni studiosi ritengono che fosse connesso i riti funerari e che fosse lo strumento rituale per la rimozione dei resti combusti del defunto. Possiamo dunque affermare che la paletta era un oggetto propriamente femminile legato alla ritualità e di innegabile valore simbolico.
Le raffigurazioni più antiche, riferibile all’età del Bronzo, sono spesso raggruppate in gruppi di 5-6 palette e possono far pensare ad una sorta di indicazione che segnalasse la presenza di un sito rupestre femminile, in qualche modo ritualmente vietato al mondo maschile.
Nell’età del Ferro le palette vengono invece costantemente associate ai guerrieri. Poiché le donne non sono più raffigurate nell’arte rupestre di questo periodo è possibile che la presenza femminile dovesse essere circoscritta a pochi e selezionati simboli, come abbiamo già evidenziato parlando delle rose camune.
Le figure di labirinto per antonomasia simboleggiano un percorso complesso e costellato da ostacoli che attua una trasformazione in chi lo compie.
Le figure di labirinto per antonomasia simboleggiano un percorso complesso e costellato da ostacoli che attua una trasformazione in chi lo compie.
Il labirinto di “tipo cretese” sembra rimandare agli influssi culturali dell’area mediterranea mediati dagli etruschi e è quindi correlato ai riti di passaggio (nascita, pubertà, matrimonio…). Ricordiamo il bellissimo labirinto inciso sulla roccia 1 di Campanine di Cimbergo.
attorno al V sec. a.C. compare in Valcamonica un alfabeto (cosiddetto “di Sondrio”), di origine nord-etrusca ma adattato alle esigenze fonetiche di una lingua forse retica.
attorno al V sec. a.C. compare in Valcamonica un alfabeto (cosiddetto “di Sondrio”), di origine nord-etrusca ma adattato alle esigenze fonetiche di una lingua forse retica.
La lettera “A” capovolta e la lettera “Z” ad “alberello” sono i due tratti distintivi di questo alfabeto. Le iscrizioni, probabilmente nomi, non sostituiscono le figure incise ma si integrano perfettamente nei contesti istoriativi, talvolta con significative associazioni (barchette ornitomorfe, capanne, guerrieri) che sembrano suggerire una valenza funeraria. La maggior concentrazione di questo soggetto è a Foppe di Nadro, dove ricordiamo l’epigrafe “ZAZIAU” sulla roccia 23 e l’alfabetario graffito sulla roccia 24. Di particolare interesse sulla roccia 60 di Foppe di Nadro l’iscrizione latina SAX SECO (incido la roccia).
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Giugno 2023 |